“Libri d’artista”, un genere relativamente recente (affonda le
sue radici nelle avanguardie parigine della fine del XIX - inizi del XX
secolo) che, in questi ultimi decenni, ha acquisito un preciso statuto
formale autonomo, affermandosi come espressione artistica specifica.
Ma in cosa consiste il “libro d’artista”? Prendiamo
in prestito la definizione che ne ha dato l’on.le Giampiero Leo,
assessore alla Cultura della Regione Piemonte, regione particolarmente
e meritoriamente attenta a questo tipo di espressione artistica: si
tratta di una serie di (parole testuali): “operazioni tese alla
modificazione, alla contaminazione e alla trasformazione sperimentale
della tradizionale struttura del libro, in sinergia con i tempi e gli
orientamenti della pittura” e, aggiungerei, dell’arte contemporanea in
toto, ivi compresa la videoscrittura, la poesia visiva, le tecniche
avanzate del Desk Top Publishing.
Il “libro d’artista” è conseguentemente
quello che vede una totalità o una serie o una parte di
interventi tesi a diversificarlo dalla produzione editoriale
formalmente precodificata. A questo punto non ha alcuna importanza la
cosiddetta “tiratura”, ovverosia il numero delle copie del libro, che
può limitarsi ad un solo esemplare (opera unica) o arrivare a
tirature, nell’attuale stato della questione, di 1500 pezzi: vedasi il
caso di Luca Alinari che passa con disinvoltura dall’esemplare unico ai
3 ed ai 500 pezzi; o di Enrico Baj che spazia da 46 a 174 pezzi a 600
per poi ritornare indietro a 83, quindi a 200, poi ai 127 di Apocalisse
curata da Umberto Eco. Edoardo Sanguineti accoppia all’alta tiratura il
grande formato: 1500 copie di Kantharos del 1996 nel formato di cm.
33x48, mentre Eugenia Serafini spazia dall’esemplare unico alle
tirature di 500 copie numerate e firmate. È una situazione
analoga a quella che si verifica nelle altre arti visive ove l’artista
può affiancare alla produzione di opere uniche quella di
multipli e di incisioni calcografiche, xilografiche, litografiche o
serigrafiche in diversi esemplari.
La forma esteriore
del libro d’artista difficilmente si discosta da quella tradizionale,
mentre variano i sistemi di assemblaggio e di rilegatura ed i materiali
usati, che possono essere, oltre che gli usuali carta, cartoncino e
cartone: legno, vetro, metallo, plastica. E varie sono le dimensioni, a
partire dai 12 minuscoli libretti di cm. 10x10 di Bruno Munari editi
nel 1980 sino ad arrivare al monumentale esemplare di cm. 65x95x20
(immaginiamoci una grande valigia non troppo spessa) di Alberto Moretti
del 1981. Ma per lo più le dimensioni si attestano sull’ottavo e
sul sedicesimo: i cm. 17x26 e 16x22 sono prediletti da Luca Patella e
dai più; Lamberto Pignotti non disdegna i piccolissimi formati
(cm. 8x16 de L’Indiano intermedioin 300 copie) e quelli più
impegnativi (cm. 35x50 di Visibile Invisibile dell’ 1981 e Gusto e
gusto del ‘95).
Questa “arte nuova” può avere origini
antiche? La risposta non è facile: chi ha voluto vedere nei
futuristi gli iniziatori o quanto meno i precursori della produzione
italiana dell’ultimo mezzo secolo ha a mio avviso fatto confusione tra
l’aspetto esteriore dell’oggetto ed il suo significato: il “Libro
d’artista” è una produzione d’arte e creativo è il suo
scopo; i libri dei futuristi sono una provocazione contro l’obsoleta
cultura libresca dai medesimi avversata ed equivalgono, come
significato intrinseco, alla proclamata anche se per fortuna solo
teorica minaccia di Marinetti e di tutto il gruppo futurista di
“incendiare i musei”. Senza dire che, comunque, i futuristi si pongono
cronologicamente tra le precedenti esperienze del simbolismo francese e
la produzione italiana del dopoguerra.
Se anticipazioni vogliamo trovare, esse a mio parere
vanno ricercate nel Medioevo (sui volumina greci e romani non ci sono
pervenute testimonianze idonee) e più precisamente nell’opera
dei miniaturisti (chi non ricorda il dantesco Oderisi da Gubbio dell’XI
Canto del Purgatorio?) affiancata a quella degli amanuensi; né
va taciuto il raffinato lavoro, frutto di passione e di gusto, dei
grandi stampatori del passato, quali Manuzio e Bodoni, tanto per
citarne due.
Bene. Questa espressione creativa, che conta
comunque, in Italia, oltre quarant’anni ed è ormai, quindi,
“storica”, oltre ad essere riconducibile a precedenti che, per quanto
possano essere indiretti, esistono a partire dal Medioevo, è
gravida di frutti per il futuro e con essa conviveremo sia
direttamente, fruendo del prodotto firmato, sia indirettamente, per le
conseguenze formali che non mancherà di produrre sull’editoria
tradizionale.
Certo, come tutte le vere forme di cultura, il suo
cammino potrà essere ostacolato da problemi di produzione e da
difficoltà di mercato; ma noi ci auguriamo che piccoli editori
lungimiranti come Pulcinoelefante di Osnago, l’ARTECOM e Le Impronte
degli Uccelli di Roma, Offerta speciale di Torino, Egidio Fiorin di
Belluno, tanto per citarne qualcuno, continuino il loro coraggioso
lavoro anche se, lo sappiamo, il mecenatismo non sempre ripaga
economicamente.
Va pertanto pienamente condivisa l’iniziativa
dell’ARTECOM-onlus di editare una “
collana
di libri d’artista”, diretta da Eugenia SERAFINI, cui
peraltro
hanno collaborato personalità di alto livello, da Mario VERDONE
a Duccio TROMBADORI ad Elio PAGLIARANI a Maria Adriana GAI, per tacere
della stessa SERAFINI.